Un mercoledì mattina di lavoro a scuola, come tanti altri. Mi trovo in palestra, nell'ora di educazione fisica, con Paolo, un ragazzino di 11 anni . La palestra è costruita all’interno di un antico palazzo dell’800 che era stato una stalla per cavalli. Il soffitto altissimo e le vecchie pareti interne mi danno una sensazione di ovattamento.

Sono seduto e guardo P. giocare a palla rilanciata con i suoi compagni di classe. Ci sono due squadre e lui si trova in una di queste. Le squadre si muovono in maniera ritmica, ordinata: una avanza e l'altra indietreggia. Una attacca,l'altra si difende e viceversa. Questo movimento, mi suscita l'immagine mentale di un' onda marina. P. si muove in maniera particolare all'interno di questa onda: il suo movimento è contrario, anomalo . E' un movimento perpendicolare a quello delle due squadre, desincronizzato rispetto a quello degli altri ma ordinato rispetto a se stesso. Fa due passi a destra e due a sinistra in uno spazio breve nella zona in cui si trova. La partita prosegue e il ragazzino alterna momenti in cui sta nel gruppo ad altri in cui esce e va nello spogliatoio. Ho la sensazione di avere intuito qualcosa. Il giorno seguente mi trovo a scuola nell'aula di informatica. Lui sta guardando dei video su un PC. Io su un altro PC sto guardando i vari tipi di onda che ci sono in natura. La mia attenzione cade sulle onde sonore per poi arrivare ai sonar biologici, sistemi che alcuni animali, in particolare pipistrelli e delfini, utilizzano per muoversi nell'ambiente. Mentre guardo un' immagine che mostra come i suoni rimbalzino nell' ambiente.,noto che P. guarda il mio pc con la coda dell’occhio. Poi interrompe la sua attività e mi dice "cos'è?" ed io "è un'immagine.." e lui " i suoni rimbalzano" e io stupito " ma lo sapevi già?" "si,si" Emette una serie di suoni. " io ho il sonar come i delfini” mi dice. Sono sempre più sorpreso. Paolo è un grande appassionato e conoscitore dei pesci. Si potrebbe dire che è un bambino-pesce. Da quando lo conosco non ha mai smesso di studiare le varie specie di pesci, i loro habitat e il loro comportamento. Ne conosce anche la storia evolutiva. D’altro canto ha evidenti difficoltà relazionali ed emotive: sembra un bambino molto piccolo per quanto riguarda lo sviluppo sociale. E’ egocentrico, non tollera la frustrazione, e’ oppositivo rispetto alle richieste che gli vengono fatte. Ha una diagnosi di autismo. Non pensavo proprio potesse sapere che i suoni rimbalzano nell'ambiente. Io conoscevo questo aspetto del suono, perchè sapevo che i pipistrelli si muovevano nell'ambiente pur essendo ciechi., ma non credevo che anche noi umani possedessimo questo sesto senso. Studiando la letteratura, scopro che anche noi possiamo apprendere l’utilizzo i questa capacità. Su ‘Youtube’ ci sono alcuni video di persone cieche che riescono ad orientarsi nell’ambiente e addirittura ad andare in bicicletta, emettendo dei “clik” vocali. Gli propongo un esperimento. "Prova ad usare il sonar e muoverti nell'aula con gli occhi chiusi" P. si muove ad occhi chiusi nell'aula, utilizzando il suo sonar. Non sbatte contro gli oggetti. Penso che forse è stato facilitato dalla struttura dell’aula di informatica, che ha un ampio spazio vuoto al centro. Decido allora dei andare con lui nella sua classe che in quel momento è vuota: i banchi sono disposti a file verticali. Non ci sono molti spazi vuoti all’interno, giusto le corsie per camminare. Di nuovo si muove in maniera apparentemente sicura con gli occhi chiusi. Mi sento come se avessi appena messo un piede su Marte. La sensazione di distanza che molto spesso ho quando sono in sua compagnia si è ridotta notevolmente. Di nuovo mi butto a ricercare letteratura che parli dell’argomento. Non ho trovato nessuno studio che parli di correlazioni tra disturbi dello spettro autistico ed ecolocalizzazione (si chiama così la capacità di utilizzare il suono per orientarsi). Tuttavia mi interessa sottolineare il processo che mi ha portato in connessione al mondo interno di questo bambino. Entrare in contatto con il suo modo di percepire la realtà , probabilmente con un aspetto del suo funzionamento , mi ha permesso di condividere con lui un'esperienza. Lui stesso si è mostrato disponibile nel provare a fare l'esperimento che gli ho proposto. Ogni tanto ne riparliamo, a volte è lui che spontaneamente usa il sonar mentre ci muoviamo per le vie della città. Siamo riusciti a condividere una esperienza fatta insieme, nostra. La mia scoperta ha un valore principalmente "umano", non ha pretese di scientificità. Ma è anche una scoperta che ho fatto di me stesso. Entrare in relazione con Paolo , mi ha permesso di scoprire qualcosa di me che nemmeno consideravo di avere. Da qui mi sono chiesto se fosse possibile studiare dei modi per entrare in contatto maggiormente con la diversità di questi bambini speciali. Dei possibili percorsi Terra-Marte Ho pensato ad un modo indiretto per farlo. Visto che loro hanno difficoltà ad avvicinarsi a noi, perchè non possiamo essere noi “neurotipici” ad avvicinarci a loro? Uta Frith, eminente ricercatrice nel campo dell’autismo, sostiene che questi bambini hanno “cecità mentale”, ovvero presentano un deficit nell’attribuire stati mentali alle altre persone. Tale deficit avrebbe ripercussioni sulle loro scarse abilità sociali. Il livello del deficit non è uguale per tutti quanti i bambini autistici, ci sono differenti livelli di difficoltà. Mi sono sempre chiesto come mai bambini e ragazzini così diversi come carattere e personalità, presentassero un disturbo e difficoltà simili. Lo “spettro” autistico presenta gradi e sfumature estremamente differenti, ma sembra essere una condizione cronica nel corso della vita di queste persone. Inoltre in questi anni mi sono concentrato sull’ osservare come “gli altri” si comportino nei confronti di questi bambini. . Alcune persone sono bloccate, si muovono in maniera goffa, differente a come si comportano di solito. La cosa che più mi infastidisce è quando vedo qualcuno che li tratta come se non capissero niente. Magari ti chiedono, in presenza del bambino, “ ma è autistico?” come se fosse sordo o non si accorgesse di nulla. Poi proseguono “ anche io seguivo un bambino autistico. So che cosa vuol dire” ... Penso che i pregiudizi rispetto a questi bambini giochino un ruolo importante nel determinare alcune paure che poi bloccano sul nascere le possibili relazioni e la conoscenza reciproca. La mia ipotesi è che tali comportamenti poco “ mentalizzati” da parte delle persone che interagiscono con i bambini possano essere in un qualche modo anti-terapeutici rispetto al deficit di lettura della mente altrui che sarebbe una caratteristica nucleare del disturbo. Mi sembra che il deficit neurobiologico alla base del disturbo si confonda con la “personalità” del bambino. Un conto è essere consapevoli dei problemi che causa la patologia, un altro è confondere il disturbo con la totalità di quella persona. Sempre U. Firth ritiene che i disturbi dello spettro Autistico siano destinati a migliorare nel corso della vita. Che cosa può migliorare la loro condizione? Mi sono immaginato un processo “compensatorio” che possa agire come terapia del deficit. Una “grande mente” che possa attutire una deficit che pare essere permanente. C’è un albero che si trova nel retro del cortile di casa mia. Lo vedo da quando abito qui, tutti i gironi. Per me è sempre stato solo un albero. Oggi è una giornata con una luce molto particolare, rende l’ambiente terso, limpido. Ho visto per la prima volta la bellezza di questo albero. E’un albicocco, pieno di foglioline verdi chiaro. Sul tronco c’ è un po’ di edera che lo avvolge come se fosse un vestito. I rami si intrecciano come tanti serpenti e si protendono verso il balcone dove sono seduto. Per la prima volta mi sono accorto che questo albero era speciale. Qualcosa mi ha permesso di metterlo a fuoco, di vederlo come un albero speciale, con delle caratteristiche sue che non avevo mai notato nonostante lo vedessi tutti i giorni. Credo che la diversità dei bambini autistici ci offra la possibilità di vedere il mondo da un’altra prospettiva. Come sarebbe vedere la terra da Marte? Forse saremmo solo un puntino lontano in mezzo a tanti altri puntini. Nel corso dello sviluppo i bambini autistici vivono esperienze educative, vanno a scuola, frequentano compi gioco, fanno attività sportive. Potenzialmente entrano in contatto con tantissime persone. Sembra che la loro mente non si rappresenti le nostre menti, ma che si sia specializzata in altri settori. Credo che il problema non sia tanto insegnare a loro a capire la nostra mente, ma piuttosto fare si che le persone significative che vivono con loro ( genitori, educatori, insegnanti, compagni, di classe) accettino la loro diversità. Accettare ciò può spaventare. Soprattutto se mi metto nei panni di un genitore che si trova con un figlio che è diverso da sè stesso e dagli altri. Accettare questa differenza ed diventarne consapevoli è, dal mio punto di vista, un processo primariamente emotivo. Chissà se il sonar che ho visto esiste veramente? Non penso che sia la verità ultima, ciò che conti veramente. So però che sia io che il bambino abbiamo dato significato ad un'esperienza e ci siamo capiti.

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