L’Opera
Circa due anni fa ho visitato il museo Guatelli, spinto dalla curiosità e dall’amicizia nei confronti del prof. Mori che in quell’occasione faceva da guida al museo . La sensazione che ho avuto, difficile da esplicitare con le parole, è stata quella di uno spazio ‘talmente pieno ’ di ‘un altro tempo’ che quasi sembravano essere violate delle leggi fisiche a cui siamo abituati. Migliaia e migliaia di oggetti collocati in ogni angolo della casa.
Io e gli altri visitatori muovevamo continuamente lo sguardo da una parte all’altra delle stanze, ogni tanto fermandoci su un’oggetto della cultura contadina (martelli, asce, coltelli, aratri, ruote, scarpe) , che prendeva vita dallo sfondo,mentre altre volte ci fermavamo sulla composizione, che evocava trame primitive, assumendo altri significati rispetto a quello del singolo oggetto nella sua individualità.
Come diceva Kurt Lewin, uno dei padri della psicologia sistemica, ‘il tutto è di più della somma delle singole parti ’. Pare che il Guatelli, avesse intuito inconsapevolmente, questa legge della percezione.
Alcune stanze, mi hanno particolarmente emozionato. La ‘stanza della zia’ (così chiamata perché ci viveva la zia dell’autore) mi ha creato molta angoscia ad esempio. E' una stanza da letto, piena di contenitori di vetro, riempiti con tappi, bottoni, chiodi ....mi ha fatto venire in mente immagini di morte, ricordi di feti messi in formalina... La ' stanza degli ospiti', è un 'altra stanza da letto per gli ospiti, appunto, piena di orologi. Mi ha creato la sensazione di essere schiacciato dal tempo, il tempo inesorabile, la morte ....inquietante. Poi c'è la stanza dei giochi. La prima volta che ho visitato questa stanza non mi ha fatto un effetto particolare, piacevole, ma niente di significativo.. Pensavo ‘ma guarda che animo gentile questo Guatelli’ . La seconda volta, tutt’altro effetto, tutt’altro scenario. (Vedi alla fine). Il salone è la stanza più nota della casa....Piena di attrezzi contadini, ogni centimetro della stanza è 'pieno' (vedi lo sfondo della foto in introduzione). Li dentro provavo da una parte familiarità con gli oggetti che conoscevo nella loro singolarità mentre dall’altra una sensazione di novità quando percepivo l’oggetto posizionato all’interno della composizione. E questi due effetti erano pressoché simultanei. E non ero solo a provare queste emozioni. Ero insieme ad un gruppo e ad una guida.
Mi sono chiesto che cosa ci stava succedendo a noi fruitori dell'opera ? Questo continuo ‘movimento’ tra figura e sfondo faceva vacillare un po’il nostro senso di identità? Come se le cose di tutti i giorni, conosciute e comprensibili diventassero ignote , lontane , difficili da connettere.....
Se cerco di comprendere con i mezzi logico linguistici questo effetto, questa sensazione, non ci riesco. Il linguaggio verbale, descrittivo non arriva a decifrare il messaggio di queste composizioni. La mia proposta è quella di utilizzare il linguaggio metaforico per avvicinarci al messaggio estetico\creativo dell’artista.. Una metafora comunica emozioni, rievoca vissuti. Arriva e si sente. Non ha la pretesa di una verità ultima e definitiva. E’ uno spazio aperto in cui due elementi apparentemente molto lontani sul piano semantico ( che cosa hanno in comune un martello e una scarpa con un insieme di oggetti che costituiscono una sorta di composizione primitiva che pare più appartenere alla cultura maori ?) si associano e producono un effetto singolare sull’osservatore (in questo caso abbiamo soprattutto delle metafore ).
In Psicoterapia, se un paziente mi dice: mi sento 'un tappo di sughero in mezzo al mare ' nella mia mente si attiva un 'immagine' corrispondente, che rappresenta lo stato di incertezza e solitudine di quella persona. Questa forma di comunicazione è particolarmente 'diretta' e immediata ed è in grado di sintetizzare la complessità di uno stato d'animo.
Ma tornando alla visita: gli ‘ospiti’ del museo , facevano domande alla guida: incuriositi, riflessivi, divertiti, spaventati, esaltati, sorpresi. E il prof Mori faceva parlare gli oggetti, ne raccontava la funzione, la storia di provenienza. Ma faceva parlare anche l’artista. Era un medium, che come contagiato dall’ossessione dell’artista, dialogava con i visitatori presenti, forse trasmettendo le emozioni e le passioni che muovevano l’artista. Ma non accadeva solo questo. I visitatori non erano solamente ‘passivi’ ricettori di informazioni. Erano loro stessi a costruire nella relazione con la guida e con gli oggetti, nuovi significati. E a fare nascere nuove possibilità di esistenza, ad oggetti, che ad uno sguardo superficiale potevano sembrare morti, senza nome. La guida chiedeva: ‘come si chiama questo in dialetto parmigiano?’ E qualche signora preparata, rispondeva con il nome appropriato per quell’oggetto. L’oggetto in quel momento assumeva un identità , veniva battezzato, poteva nascere di nuovo.
La mia ipotesi è che si stava creando ‘familiarità’ ‘empatia’ se vogliamo usare un termine più in voga. La guida, i visitatori e l’artista stavano sperimentando qualcosa di simile, che li rendeva un po’ più vicini. I circuiti elettrici dei loro cervelli e le pulsazioni dei loro cuori si stavano sincronizzando sulle stesse frequenze.
Semir Zeki, neuroscienziato di fama internazionale, ne libro ‘La visone dall’interno’ sostiene che gli artisti siano dei ‘neuroscienziati inconsapevoli’, nel senso che riuscirebbero a produrre un effetto estetico ‘diretto’ sui neuroni degli osservatori dell’opera. L’artista sarebbe, secondo Zeki, una sorta di scienziato, che ha come banco di prova delle sue ipotesi (le opere) la stimolazione più precisa possibile di alcune aree cerebrali (se non i singoli neuroni!). Secondo Zeki l’artista progetterebbe quindi continuamente degli esperimenti volti a stimolare con precisone ed efficacia i cervelli degli osservatori. E la stimolazione dei neuroni sarebbe diretta, immediata, salterebbe il passaggio della consapevolezza cosciente dell’osservatore.
Credo che io e gli altri partecipanti del gruppo, quel giorno, abbiamo potuto sperimentare questa sorta di effetto... Ma che cosa comporta questo effetto? Che cosa è che fa si che ci emozioniamo davanti a queste composizioni? Che cosa le rende tanto uniche?
nelle foto sopra: la stanza dei barattoli e la stanza degli ospiti
il salone (sopra) accostato a composizioni Maori
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E’ la stessa esperienza visitare la casa da soli o in gruppo? E' la stessa cosa visitare l’opera con un gruppo di sconosciuti, o con la propria fidanzata? E porci davanti all’opera sapendo già delle cose sull’artista o visitarla senza nessuna conoscenza? La mia risposta a queste domande è che siano tutte esperienze differenti
Perché?
Gli animali possono provare esperienze estetiche? Una scimmia è in grado di emozionarsi davanti ad un opera d’arte? Un bambino autistico si emozionerebbe davanti ad un opera d’arte?
Sono quesisti rispetto ai quali è difficile rispondere, ma che ci spingono ad approfondire, a ricercare.
Gli esseri umani sono dotati delle cosiddette emozioni ‘secondarie’, di quelle emozioni ‘sociali’ che ci distinguono dagli altri mammiferi. Siamo l’unica specie che ha bisogno di condividere con i propri simili le proprie esperienze, i propri progetti, le proprie scoperte. Nasciamo con un cervello già funzionante, ricco di capacità di elaborazione. Ma abbiamo bisogno di condividere emozioni e affetto per potere diventare esseri sociali .
Quel giorno mi trovavo con quella che poi è diventata la mia attuale ragazza ed ero con Giovanni che è un caro amico mio e della mia famiglia. Inoltre ero con persone a me sconosciute, ma che quel giorno sono diventate un pochino più familiari.
Se fossi stato da solo quel giorno, senza Elisa e senza Giovanni , sarei qui a scrivere di quel giorno? Ma certo si potrebbe dire che la visita sia stata un caso, un fatto che è capitato nel corso della vita, un occasione che c’è stata...
Ma rimane comunque la domanda: perché sono qui a scrivere di quel giorno?
Se non avessi avuto la possibilità di condividere le mie emozioni con le persone che sono a me vicine non sarei qui a cercare di comunicare un' esperienza ,a cercare di instaurare un dialogo che possa essere interessante. Penso che per alcune persone, l'arte abbia proprio una funzione 'sociale', che permetta di creare comunicazione, formare legami, condividere emozioni.
L'osservazione solitaria, che ho fatto, successivamente, mi ha portato ad accorgermi di altri particolari, di spostare il mio focus attentivo. Ero sempre Io. Ma nel primo caso mi trovavo in un gruppo, nel secondo da solo.
Non credo che abbia senso parlare dell’arte come se fosse ‘disincarnata’, come se fosse esterna a noi osservatori e fruitori dell'arte.
L’opera e l’autore dell’opera
Si può parlare dell’artista disgiuntamente dalla sua opera?
Ci ho provato. E’ un operazione chirurgica molto delicata. Forse è una vivisezione. Ha un sapore amaro.
Viene prima l’uomo artista o prima l’arte, la creatività?
Nascono insieme?
Sono uniti da un cordone ombelicale che non permette di separarli?
L’arte e la creatività si esprimono solo con il successo o è possibile rintracciare esempi di artisti anche al di fuori dei grandi musei e dei circuiti internazionali?
Ho osservato e conosciuto un ‘barbone’ a Trapani, girava per le via principale della città suonando la fisarmonica. Una musica triste, malinconica. Ma che arrivava al cuore. Era sdentato, sudato e chiedeva l’elemosina. Ma mi riempiva l’animo con quella musica. Ci ho pensato per giorni . Chi è che ho conosciuto? Cosa è che mi ha emozionato così tanto? Mi immaginavo che fosse nato con quella fisarmonica, che ci dormisse anche forse, mi sembrava un prolungamento del suo corpo sofferente. Ma forse la sua arte è la sua vita e la sua storia. Forse la sua arte è anche la sua condanna e la sua salvezza. Sembrava che fosse la sua musica a portarlo in giro a tenerlo in piedi a dargli la forza di chiedere i soldi alle persone che lo schivavano e che lo evitavano, guardandolo con rabbia. Non ce l’ho fatta a separarlo dalla sua fisarmonica, nemmeno concettualmente. Voglio immaginare che sia nato con la sua musica triste e malinconica e che muoia così. Un artista di strada.
E col Guatelli? Possiamo tentare di farlo? Mi sono documentato sulla sua vita, la sua biografia, i suoi libri. Ho ascoltato testimonianze indirette e dell’autore stesso. Ma non arrivano mai al cuore come la sua opera. La sua opera è anche la sua vita. I suoi oggetti sono degli eventi autobiografici. Sono talmente connessi con l’artista, che diventano i messaggeri della sua storia personale.
Prendiamo la stanza dei giochi. Ad una seconda visita, in cui ero da solo ad esaminare la stanza, mi accorsi di qualcosa di particolare di cui non mi ero proprio accorto la prima volta quando la visitai in gruppo.. Davanti alla stanza, notai dei cartelli di pericolo, che mettono in guardia le persone che stanno per varcare la soglia. La stanza fitta, piena di giochi. E sul soffitto c’era anche un fucile e un animale morto (non ricordo quale) Che senso ha tutto ciò, mi chiedo? Come mai un accostamento tra ciò che si assocerebbe al divertimento e alla spensieratezza con il pericolo? Non sappiamo esattamente che cosa volesse dire. Tuttavia un effetto si crea nell’osservatore. Un effetto che non è evidente, non è esplicito. E’ un aspetto che si lascia ‘scoprire’ che emerge ad un osservazione attenta (e nel mio caso solitaria).
E' possibile che l'effetto oggetto individuale\composizione di cui ho parlato all'inizio si moduli in rapporto alle condizioni 'relazionali-emotive' del visitatore? Perché nella prima visita, quando ero 'in relazione ' non ho notato i segnali di pericolo? E viceversa perché nella seconda visita me ne sono accorto? Nella prima visita sono stato portato dal a concentrarmi più sulla globalità della stanza e nella seconda visita più sui singoli oggetti. Questi sono dati che dicono qualcosa del mio modo di esperire e fruire l'arte del Guatelli.
E dell'autore che cosa possiamo intuire? Sembra che ci volesse lasciare intendere che non ci si può fermare nel ricercare, nel tentare di capire. Ciò che sembra ovvio non lo è per niente. I giochi sono anche fucili, l’infanzia è anche pericolo? Un martello, una scarpa sono anche altro, una composizione, una geometria. Un contadino è anche un artista? E il Guatelli era anche altro da ciò che dichiara di essere stato? 'Altro' che dal mio punto di vista, non è riuscito a dire con le parole, ma che ha saputo esprimere nella sua particolarissima forma di arte, che veicola emozioni, vissuti, ricordi.
‘Le cose minime sono quelle che spesso ti danno la chiave o sono la chiave di un ragionamento che tu altrimenti non riusciresti mica a fare’ (tratto dal video ‘le cose minime’ di Ettore Guatelli).
Integrare punti di vista differenti. Nuove ipotesi
Il dialogo tenuto prima, dopo e durante la conferenza con il prof Mori (chimico), il prof.Pescaroli (artista) e il dott. Saracco (matematico) unito al confronto che ho avuto dopo la conferenza con alcune guide del museo mi ha consentito di ampliare il mio punto di visa sul ‘caso’ Guatelli.
In particolare mi è parso che i diversi linguaggi parlati dai protagonisti della relazione convergessero e trovassero una buona sintonia.
Mi sono chiesto come mai. Perché l’arte del Guatelli è leggibile e interpretabile da punti di vista apparentemente così lontani?
Di che cosa parlano questi linguaggi?
Le simmetrie, riscontrabili anche nella natura e nella biologia, gli oggetti nella loro essenza, tolti dalla loro funzione e la relazione tra l’osservatore, l’opera e l’artista sono i contenuti che sono emersi da questo dialogo.
Tali elementi potrebbero essere interconnessi. Non si può parlare dell’opera senza parlare delle simmetrie né si può parlare dell’autore senza citare gli oggetti.
Ognuno di questi elementi è in relazione all’altro e prende forma nella narrazione e nel dialogo che abbiamo intrapreso.
I resoconti delle guide mi hanno confermato l’intenzionalità e il progetto artistico del Guatelli, che era solito passare ore ed ore ad allestire le stanze. Per poi disfare tutto il lavoro fatto e ricominciare.
Il racconto di un parente dell’Autore, mi ha confermato del legame simbiotico tra Ettore e gli oggetti del museo. Mi disse, finita la conferenza che quando gli proponevano di modificare uno dei suoi oggetti perché vecchio o rovinato, lui rispondeva che era come se gli togliessero via una parte di sé.
Con una guida abbiamo condiviso il senso di ‘beffa’ che si prova in alcune stanze del museo. Lui lo esperiva nel rapporto diretto, quotidiano con l’artista, io lo ho vissuto nel rapporto con l’opera. Ma l’effetto è stato lo stesso.
E la cosa che più mi ha colpito, è stata la sensazione che alcune guide, si comportassero un po’come il maestro. Raccontando di ogni oggetto come se fosse stato un loro figlio. Orgogliosi e fieri di potere tramandare la loro conoscenza e le proprie esperienze.
Come se l’opera fosse entrata dentro a queste persone. Conferendo stimoli e interesse a persone di età, ceti e professioni diverse. In comune c’è la possibilità di parlare dello stesso argomento, utilizzando linguaggi propri a ciascuno.
Forse il senso potrebbe essere proprio questo. Che ci sia per ognuno la possibilità di raccontarsi, utilizzando le metafore visive del Guatelli per raccontare la propria esperienza.
Penso che sia questo l'aspetto 'nobile' dell' Opera del Guatelli.
Dott. Fabio Monti
Psicoterapeuta, Reggio Emilia
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